Come da 80 anni, il Natale è ufficialmente iniziato a New York, quando sul gigantesco abete del Rockfeller Center si sono accese oltre 45mila luci colorate.
Molto tempo fa, l’uomo iniziale, ospite di un universo ostile e sconosciuto, si spaventò tantissimo quando la natura assunse il suo introverso aspetto autunnnale. Più opaco, più silezioso, più buio. Più freddo, sempre più freddo fino al solstizio d’inverno: Il 21 dicembre, la data che la scienza avrebbe fissato per inaugurare la più difficile stagione dell’anno.
La paura che una perenne notte ghiacciata compromettesse la sopravvivenza, rallentò di fronte a quegli alberi che, malgrado il clima aggressivo, restavano verdi o – incredibile evento – sceglievano il gelo per far esplodere, fra le foglie puntute, grappoli di bacche rosse.
Forse – si consolò l’uomo – la natura non si arrende, ma attende e si sospende in una gestazione letargica. La coltre bianca della neve avvolge i semi e la promessa di un ritorno alla vita. Il ritorno consolatorio di tepori primaverili.
Così a dicembre, secolo dopo secolo, pagani e credenti hanno continuato a celebrare il natale come festa della (ri)nascita. Tutto ciò che sembrava garantire il disgelo e nuovo calore diventava decoro per esorcizzare il terrore. Il sempreverde, che attesta la perennità della vita, i frutti a grappolo che indicano fertilità e felicità, cioè abbondandanti mietiture e generazioni numerose come le stelle.
La festa dell’inverno si è però dimenticata dal suo senso naturalistico e scaramantico e il segno delle nascite si è banalmente trasformato in sfavillanti e riverberanti palle, euforicamente sospese fra festoni consumistici.