I nomi delle tasse: questione di acronimi.

I nomi delle tasse non rappresentano una priorità per il governo, tuttavia prima di nominare una nuova imposta sarebbe necessaria una riflessione. Gli acronimi sono un metodo diffuso per nominare le tasse, ma talvolta si rischia di commettere qualche errore. IRPEF, IRES, IRAP, IMU, IVA, TARSU… se letti in successione, c’è da perdere il fiato e trattenere un umorismo che fa del tax naming una vera e propria questione di stile e galateo. Mi spiego con un esempio attuale.
Avrai certo sentito parlare della Service Tax, l’imposta sui servizi comunali che sostituirà la TARES nel 2014. Questa tassa si divide in due parti: la prima riguarda la gestione dei rifiuti urbani, la TARI. La seconda parte tassa la copertura dei servizi indivisibili e si chiamerà TASI. No, non dicevo a te, la nuova imposta si chiamerà proprio TASI, un acronimo alquanto singolare per i contribuenti del Veneto.
Questo nome, infatti, nel dialetto veneto significa “taci”, un imperativo utilizzato anche nel famoso detto “paga e tasi” (“paga e taci”). Vorrà dire che i cittadini veneti, oltre alla tassa, dovranno pagare anche il prezzo di sostenere questo naming, del tutto fuori posto in una regione considerata uno dei principali serbatoi fiscali d’Italia.
La questione del tax naming dovrebbe servire da lezione per molti che di professione scelgono il nome di prodotti e concetti: una scelta che non può basarsi soltanto sulla creatività, ma anche su un’ampia e accurata ricerca di informazioni, dialetti compresi. Attenzione al naming, quindi, perché con i nomi sbagliati anche le tasse potrebbero perdere credibilità.

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